Gruppo X

LA FORZA DEL TORNADO di Valentina Bortolotto

Quella mattina dell’ 8 luglio 2015 ce la saremmo ricordata tutti qui in Riviera, anche se non fosse successo niente…. Perché quella cappa grigia calda e umida che ricopriva il cielo già dall’alba era allo stesso tempo soffocante e inquietante. Una giornata caldissima, di quelle in cui sudi anche solo se pensi un po’ di più, di quelle che tolgono le
poche forze rimaste a chiunque arrivi a luglio aspettando le tanto attese
vacanze estive che qui, nel nord-est operoso, si fanno matematicamente ad
agosto.

La speranza di tutti, aiutata anche dalle previsioni meteo, era che piovesse…. Una bella pioggia rinfrescante, un acquazzone che portasse un po’ di sollievo alla nostra sudata sofferenza. Certo, chiunque abbia avuto dei nonni sa perfettamente che “se piove co sto caldo fa danni de sicuro!!!”, ma ai temporali estivi con tuoni e lampi e grandine siamo abituati, dieci minuti di paura e poi l’afa se ne va e si torna a respirare! Al massimo ti si ammacca un po’ la macchina, ma se sei assicurato puoi anche approfittarne per far tornare nuova e luccicante la tua auto
che ormai risente un po’ del passare degli anni.

Già dal primo pomeriggio si capiva dalla presenza di inquietanti nuvoloni neri che finalmente sarebbe arrivata la tanto invocata pioggia. Alle 16.30 si capiva anche che quel vento pazzesco avrebbe portato di sicuro guai… Ma quando alle 17.30 non si era vista né pioggia né grandine, abbiamo sperato tutti che da qualche parte avesse rinfrescato, magari in montagna… c’era qualcosa di strano nell’aria, ma di sicuro un po’ di umidità se ne era andata.

Solo qualche minuto dopo arriva un primo video.. Un ragazzino filma una scena apocalittica, un paese, Cazzago di Pianiga, dilaniato da una forza mai vista: alberi enormi sradicati, macchine spostate dalla potenza del vento, tetti scoperchiati, gru cadute, vetrine infrante…

E quello purtroppo sarà solo il primo dei tantissimi video e foto e testimonianze che da lì a poco avremmo continuato a vedere per giorni e giorni, sempre più increduli che a solo pochi chilometri da noi potesse essere successo un tale cataclisma.

La Riviera del Brenta, famosa in tutto il mondo per la sua bellezza e la sua storia, deturpata in 30 secondi da un tornado classificato come F4 con venti a 320 KM/H, che noi “padani” conosciamo solo perché appassionati dei documentari di Discovery Channel.

Alberi decennali strappati da terra come fili d’erba, ville del ‘700 che hanno
superato secoli di temporali, guerre e terremoti completamente rase al suolo, case senza più un piano, tetti e coppi e vetri e grondaie distrutti e
scaraventati centinaia di metri più un là da un vento talmente potente che
nessuno di noi qui aveva mai visto, bifamiliari sventrate, automobili alzate e
gettate nel fiume, fabbriche distrutte, serre dilaniate, tralicci del Enel
abbattuti, negozi letteralmente esplosi. Paesi di campagna, dove ogni casa ha il suo orto, il suo garage, il suo albero, il suo giardino ordinato, le sedie e
il tavolino all’ombra per riposarsi un po’, i colori forti dei balconi delle
case nuove, le persiane marroni delle case anni 80 costruite con tanti
sacrifici, con il mutuo appena iniziato o appena finito di pagare. Ecco tutto
questo improvvisamente non c’è più.

La cosa che più colpisce chi arriva per primo nelle zone deturpate dal tornado è il grigio che ricopre tutto: non ci sono più colori, non c’è più erba, non ci sono più alberi, è tutto semplicemente grigio fango, è tutto monocromatico, è tutto spento, sembra non esserci più vita. La prima cosa che ho pensato io, vedendo la Riviera a due giorni di distanza, è stato un bombardamento… una delle tante città dell’ex Jugoslavia distrutta dalle bombe, questo sembravano Sambruson e Dolo e Mira: dei paesi bombardati senza ritegno, per distruggere ogni cosa.

Nessuno era preparato a questo, nessuno poteva aspettarselo, nessuno sapeva che la tanta invocata pioggia rinfrescante avrebbe distrutto la vita di centinaia di famiglie. E nessuno, visto le macerie, avrebbe pensato ad un unico povero morto. Tutti parlano di miracolo. Poteva essere una strage, una vera ecatombe: ci ha salvato l’ora in cui è successo, alle 17.30 qui siamo ancora tutti operativi, chi in macchina, chi in fabbrica, chi in ufficio.. Pochi sono a casa: i pensionati forse, che con questo caldo proprio è meglio non uscire, le mamme con i loro bambini, che magari stanno sguazzando nella piscina di gomma messa in giardino per l’estate.

E quando il cielo diventa improvvisamente nero, tanto nero, e quelle nuvole sembrano spostarsi troppo velocemente, è una corsa a chiudere i balconi, le persiane, le finestre.. “Corri dentro che inizia a piovere!!”

Ma quello che la gente racconta, a chiunque chiedi come è successo, è che non c’è stato tempo di chiudere tutto:tutto troppo veloce, tutto troppo improvviso, tutto troppo. E in un attimo è un disastro: non hai più mobili, non hai più un tetto, non hai più i vestiti, non hai più una cucina, la tua camera al piano di sopra è sventrata, il bagno è a cielo aperto. L’orto non esiste più, gli alberi che ti hanno fatto ombra per tanti anni sono a terra, se sei fortunato, oppure ti sono caduti sulla casa e hanno distrutto quello che non ha distrutto il vento. Capannoni, negozi, rimesse per le auto, pompeiane, gazebo, giardini, non c’è più niente, solo grigio.

E da qui inizia la parte bella della storia, quella che nessuno mai si sarebbe aspettata, o forse sì ma non così.
Perché dopo un’ora dal disastro c’è già gente ovunque: mani che spostano, scavano, liberano passaggi, segano rami, cercano oggetti personali. Una marea umana di sconosciuti che sembrano conoscersi da una vita, il tam tam sui social network ha richiamato subito
tantissime persone, amici virtuali che si accordano per partire a portare vestiti viveri acqua frutta guanti mascherine carriole badili rastrelli.

Oggi, a distanza di 13 giorni, il passaggio del tornado è ancora visibile, ma la differenza è abissale: niente più distese di macerie, ma ordinati cumuli di detriti divisi per materiale; perché qui anche nel disastro più totale si è fatta la differenziata: mattoni e coppi da una parte, legno e alberi dall’altra, ferro e vetro da un’altra ancora. Tetti coperti provvisoriamente da nylon enormi messi da ragazzi incredibili della protezione civile arrampicati come ragni su tetti in piedi per miracolo. Finestre chiuse alla meno peggio, perché i vetri non ci sono più. Cancelli rimasti miracolosamente in piedi in mezzo al nulla, a chiudere una recinzione che non c’è più. E il grigio sembra un po’ meno grigio, in attesa adesso che chi deve faccia qualcosa: perché i “volontari clandestini” hanno finito il loro lavoro, adesso tocca ad altri.

Chi c’è stato, chi ha aiutato, chi ha visto, si porterà per sempre nel cuore un’emozione che non si può spiegare, una solidarietà e una voglia di fare che nessuno di noi, probabilmente, sapeva di avere. E la consapevolezza che non è tutto brutto come sembra, che ci sono ancora tantissime brave persone pronte a rinunciare a qualcosa per darlo a chi non lo ha più, che i ragazzini non sono degli sfaticati capaci solo di smanettare con lo smartphone, ma sono degli angeli con il badile in spalla che hanno fatto tantissimo nel loro piccolo, passando parola e spostandosi a gruppi, in bici, dove c’era bisogno. Che donne e uomini e pensionati e lavoratori hanno dato il loro tempo libero per raccogliere “rovinassi” sotto il sole, a 35 gradi, invece di andare al mare o stare chiusi a casa con il condizionatore acceso.

Il tornado ci ha mostrato un lato del nostro popolo, duro e testardo, che mai come adesso è riuscito a venire fuori: siamo brava gente, siamo uniti, sappiamo farci forza anche nella disperazione, i sorrisi di chi ha
perso tutto e le lacrime di chi non ha più voce per ringraziarti di essere lì
non hanno prezzo.

E mi piacerebbe tanto che qualcuno avesse voglia di raccontarle tutte queste cose, di raccontare famiglia per famiglia quello che era e quello che è adesso, di sentire le testimonianze di chi c’era e di chi c’è stato subito dopo, perché queste emozioni, questa solidarietà, questo entusiasmo non vadano persi.

La parte più difficile viene adesso, e forse sarebbe importante continuare a parlarne e non dimenticare, per essere vicini in un modo diverso a chi in pochi secondi ha perso tutto.

Valentina Bortolotto

9 risposte »

  1. Grazie Valentina per aver saputo rendere l’orrore la paura lo sgomento gli stati d’animo delle perone colpite anche a chi come me non ha potuto partecipare agli aiuti alla Riviera, solo perché un “tornado sanitario” ha colpito la mia famiglia già da un po’. Sono orgogliosa di essere veneta, al di là di ogni colore politico. Grazie di cuore.

  2. Cara Valentina, sono stato tra i primi ad arrivare sul luogo del disastro a bordo di un’ambulanza in quanto soccorritore. Devo dire che Con le tue parole hai reso bene l’idea di quello che era successo, anche se neppure la migliore penna,il migliore relatore potrà mai far capire a chi non era presente il senso di impotenza che ci pervadeva e cosa hanno visto realmente i nostri occhi.Un abbraccio

  3. Grazie Valentina, tu hai raccontato molto bene le emozioni e i sentimenti che pervadono, magari in modo diverso, ognuno di noi in questi casi così catastrofici. Noi come gruppo geometri della protezione civile di Venezia, ai colleghi di Padova e Rovigo e naturalmente in primis ai nostri Vigili del Fuoco, già dal giorno dopo eravamo sul “campo di battaglia” e abbiamo “aiutato” anche se non fisicamente, con le nostre perizie, tutte le persone coinvolte affinchè, dove possibile potessero rientrare nelle loro case in sicurezza, ti posso garantire che ho visto tutti, dai ragazzi, ai nonni, aiutarsi vicendevolmente per riprendere e dimenticare al più presto. Purtroppo storie che si ripetono e ci siamo già confrontati a cominciare dall’Abruzzo, dall’Emilia e adesso nella nostra riviera, senza dimenticare le inondazioni nel padovano, nel vicentino e nel Friuli.
    Naturalmente un grazie da parte mia a tutte le meravigliose persone che si sono impegnate in questi tragici momenti

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